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INTERVISTA ALLO SCRITTORE MARCO CANDIDA

Premio letterario internazionale Nabokov per la sezione Narrativa

foto Marco

 

“Il tuo sesto romanzo, ‘Il ricordo di Daniel’, edito da Anordest, si è aggiudicato recentemente il prestigioso Premio letterario internazionale Nabokov per la sezione Narrativa, complimenti…Te lo aspettavi?”

 

MARCO: “Di solito non partecipo a concorsi letterari (l’ho fatto assai raramente), ma a questo ho partecipato per una ragione che non esito a definire di carattere sentimentale.

A diciotto anni ho conosciuto il mio primo amore.

È stata una storiella, cioè, è stata una storiella per lei, ma quella storia mi ha traumatizzato, e direi anche parecchio. A volte penso che sia stato a causa di quella roba lì che la mia vita abbia cominciato a prendere poi sentieri abbastanza contorti.

Comunque un giorno andai col mio primo amore a vedere 'Lolita' al cinema. Ormai eravamo agli sgoccioli, io e questo mio primo amore, e io lo sapevo.

Non lo volevo ammettere. Ma lo sapevo. E accidenti ricordo che vedendo quella pellicola, anche abbastanza melensa (non certo paragonabile a quella del grande Kubrik), mi misi a piangere.

Avevo diciotto anni. Non mi era mai successo prima di piangere per un film. Ma quella storia, pur essendo profondamente diversa dalla storia che stavo vivendo io, mi stava trafiggendo. Perché sapevo, io lo sapevo bene, di che cosa stava parlando.

Quando verso la fine il vecchio professore, Jeremy Irons, va a trovare Lolita a casa sua, la rivede dopo anni, e lei si avvicina e sta per dargli una carezza e lui le dice: ‘No, non toccarmi! Se mi tocchi potrei morire!’, io sapevo che cosa stava dicendo quell’uomo vecchio, incanutito sullo schermo. Non sono mai stato tanto male per un film.

Così insomma Vladimir Nabokov, che è l’autore di ‘Lolita', è sempre stato uno scrittore che ho tenuto in considerazione, e poi è anche un autore di opere surreali.

Perciò se mi chiedi se me lo aspettavo questo risultato al premio Nabokov, ti rispondo:‘No, ovviamente non me lo aspettavo’, ma ti dico anche che la cosa non mi sorprende totalmente.

Le mie opere, almeno quelle finora pubblicate, possono definirsi certamente nabokoviane.

Del resto la mia prosa ha ricevuto apprezzamenti da autori come Giulio Mozzi o Aleksander Hemon che sono anch’essi molto vicini a Nabokov. Se non erro Hemon è stato addirittura definito, su qualche quarta di copertina, ‘un nuovo Nabokov’.”

 

“Il protagonista del tuo libro ha una crisi d’identità perché ha perso la memoria a causa di un incidente.

Che uomo è veramente?”

 

MARCO: “Il romanzo nasce da questo ‘what if’: Che cosa succederebbe se a un uomo senza memoria genitori e persone care si adoperassero per dargli una nuova identità nel mondo?

Trattandosi di una storia pressoché impossibile da raccontare in modo credibile, ho deciso di costruire la storia in modo che al lettore venga continuamente il dubbio che il protagonista, Daniel, abbia l’una o l’altra identità.

Un’identità è quella dell’avvocato e dell’uomo inserito nella società senza problemi (benestante, con un lavoro, una fidanzata, trentadue anni senza traumi) e l’altra identità quella del bamboccione, di chi ciondola di qua e di là senza un progetto per la giornata e la propria vita. È possibile che nel costruire la storia la simmetria non sia rispettata perfettamente e dunque che ci sia uno sbilanciamento verso una delle due parti.

È il lettore che deve accorgersi di questo sbilanciamento o altrimenti, se questo sbilanciamento non c’è o non si ravvisa, è al lettore che spetta il compito di decidere chi davvero sia Daniel.”

 

“Da cosa hai preso lo spunto? Arriviamo davvero a conoscerci?”

 

MARCO: “La domanda ‘Chi sono io?’ è la domanda fondamentale di questi decenni di profonda trasformazione.

Quando dico ‘profonda trasformazione’ non scherzo.

Nel 1950 Città del Messico contava 2,9 milioni di abitanti passando nel 2004 a 22,1 milioni. Seoul-Injon contava 1 milione di abitanti passando a 21,9 milioni nel 2004. New York è passata dai 12,3 milioni di abitanti ai 21,9 del 2004 – e non mi sfugge che siamo nel 2014, è solo che questi sono i dati a mia disposizione – .

Lo stesso è accaduto per Mumbai, per Delhi, Giacarta, Dhaka, Manila, Buenos Aires, Rio De Janeiro, Istanbul… Certo la crescita di queste megalopoli è data anche dal fenomeno delle conurbazioni, ma rimane il fatto che la crescita demografica più che esponenziale ci sta facendo sentire sempre di più gocce di un oceano immenso.

Con la differenza rispetto a un oceano normale che l’oceano del quale siamo le gocce è un miscuglio di acque dolci e salate, di fiumi e di laghi, sporche e pulite. Ad oggi nessuno di noi è realmente in grado di affermare con certezza di essere la goccia di un mare salato. Dice così e poi magari si scopre essere immerso in un mare di petrolio.

Non lo so proprio se in futuro riusciremo a conoscerci.

Del resto la spersonalizzazione richiesta dai sistemi lavorativi punta proprio a non farci conoscere.

Non ti è richiesto di conoscerti, ti è richiesto di essere efficace e di funzionare.

L’unica chiarezza possibile è quella del funzionamento nel sistema.

I protagonisti delle mie storie per qualche ragione smettono di funzionare e allora si cominciano a guardare, cercando di conoscersi… e scoprono di essere una guazza di contraddizioni.”

 

“Hai collaborato per due anni e mezzo al Dipartimento di scrittura creativa e letteraria in un’Università del Nord Dakota…

Cosa ti ha donato quest’esperienza?”

 

MARCO: “Ho imparato molto. Quando sono arrivato in America e leggevo i romanzi mi sembravano tutti sbagliati. ‘Che cos’è qui? Raccontano ancora storie?!’. Poi invece mi sono reso conto della forza della letteratura americana.

In Italia ogni tanto sento dire che negli States non ci sono più i grandi narratori, che quella stagione è finita, eccetera.

Il problema è che questi stessi signori dicono più o meno le stesse cose anche degli autori italiani.

Ormai ho preso a considerare queste esternazioni come semplici manifestazioni d’infantilismo.”

 

“Qualcuno ti ha paragonato a Stephen King per lo stile asciutto e rigoroso, surreale… per  il  ritmo serrato, filmico, per la tensione interna che conduce al lato oscuro delle cose, per la maestria di sbalordire, quasi impietosamente, il lettore.

La follia si annida nella normalità?”

 

MARCO: “Be’, io non ho mai fatto mistero di amare King e King mi sta ripagando ovviamente inghiottendomi.

Mai dichiarare apertamente l’amore per un grande maestro. Gli altri si accosteranno alla tua opera vedendo il tuo maestro in te – e questo che ti piaccia o no. Io non scrivo come Stephen King. Almeno non nei sei romanzi pubblicati. Possono esserci dei riverberi, ovviamente. Ma la cosa termina lì.

Questi ultimi due romanzi che ho scritto (‘Il bisogno dei segreti’ e ‘Il ricordo di Daniel) hanno un taglio filmico. Sono i romanzi più romanzeschi che ho scritto. Mentre gli altri erano romanzi anti-romanzo.

Per rispondere alla tua domanda (‘La follia si annida nella normalità?’) posso dirti che ciò che mi terrorizza davvero è quando è la normalità ad annidarsi nella follia. Quando è la macrostruttura a costringere a vivere un incubo a chi la fa funzionare e nessuno se ne rende nemmeno più conto – se non qualche sparuta cellula qua e là costretta ad ‘annidarsi’.”

 

“La vita è davvero un oscuro e spietato meccanismo, o inciampiamo più che altro nella nostra mente?

L’inquietudine ci deforma o è una sorta di mostriciattolo già dentro di noi?”

 

MARCO: “Chi lo sa… Mettiamo un uomo depresso in una spiaggia bianchissima piena di palme e il mare azzurro e vediamo se ci dice ‘Che bella giornata oggi’. Oppure mettiamo un uomo imbottito di antidepressivi in un mese piovoso dell’alessandrino e vediamo se dirà ‘Oggi è una brutta giornata’. Io direi un po’ e un po’. Il male sta nel mondo e il male sta nello sguardo che lo scruta e parimenti è il bene. Ad esempio, il transumanesimo e le nanotecnologie vogliono fare del soggetto un supersoggetto in grado di autocurarsi ed essere più forte. Ma la domanda è: più forte perché? Cioè, a cosa punta la nanotecnologia?

A farci nasi e polmoni in grado di respirare i gas tossici delle fabbriche e delle automobili?

Non basterebbe dire basta a questo sistema di morte e follia?

Soggetto e mondo, questo è il dualismo e io, come uomo occidentale, non lo so se sia possibile superarlo, questo dualismo, e io e mondo diventare un'unica entità.”

 

“Nei tuoi romanzi è sempre presente l’inganno.

Inganniamo più noi stessi o gli altri?”

 

MARCO: “Se un uomo tradisce la moglie con una cinquantina di donne con cui è stato solo per sport e la moglie ha tradito quell’uomo una sola volta con un artista bohemien spiantato innamorandosene da morire chi ha ingannato di più? Difficile rispondere.

Forse la risposta è che l’inganno inganna tutti. Cioè a vincere è l’inganno. Se io illudo una povera ragazza di farla vivere in un castello e invece l’ho portata in una roulotte in uno schifoso slum è vero che la sto ingannando, ma è pur vero che anch’io vivo nella roulotte. L’inganno è triste per tutti.”

 

“I tuoi protagonisti sono davvero soli o credono di esserlo?

Stiamo smarrendo del tutto l’empatia?”

 

MARCO: “Empatia. Bella parola. Una persona che stimo mi ha detto: ‘Non posso fare una certa cosa perché non ho provato empatia per nessun personaggio della tua storia’.

Così in questi giorni ci ho pensato un po’ su, a questo concetto di empatia… Che cos’è l’empatia? E quando si prova?

Com’è che riusciamo a dire di provare 'empatia' per Il Conte di Montecristo piuttosto che per il Patrick Bateman di ‘American Psycho’ o per Raskol'nikov di ‘Delitto e castigo’?

Forse, mi dico, questa empatia scatta perché questi personaggi sono personaggi positivi.

E forse tutti i personaggi di qualunque romanzo (che sia un buon romanzo) sono sempre personaggi positivi. So che suona un’affermazione plateale, ma questo è quel che penso.

Un romanzo costruisce un mondo e questo mondo ha leggi ben precise. Ha delle regole. Regole morali o regole amorali, ma sono regole. E se quelle sono le regole, il protagonista di un’opera per il quale scatterà empatia sarà colui che si farà il miglior interprete ed esecutore di quelle regole.

Il mondo di ‘American Psycho’ è un mondo dominato dal cinismo e dall’indifferenza e Patrick Bateman è un urlo di dolore e di ribellione a un mondo siffatto. Ammazza prostitute. Si macchia i vestiti di sangue. Sbudella. Scanna. E nessuno se lo fila nemmeno di striscio. Tutti gli rimangono indifferenti seguitando a prendere la parte più superficiale e apparente della sua persona, quella dell’avvocato, dell’uomo d’affari, quello del circolo…

E il mondo di ‘Delitto e castigo’? È quello degli umiliati e offesi, e per ribellarsi a questa condizione di umiliazione e di mancanza di dignità Raskol'nikov ammazza qualcuno con l’intenzione di diventare grande come Napoleone, come Giulio Cesare.

Ecco perché possiamo provare empatia. Capendo le regole del mondo, siamo in grado capire i presupposti dell’agire del protagonista ed essere disposti a comprenderlo e persino a eleggerlo a nostro eroe.

Va da sé, per rispondere alla tua domanda sul fatto se stiamo collettivamente smarrendo o meno l’empatia, che se non esiste un mondo con regole morali precise allora non sarà più possibile avere eroi perché non ci saranno più sistemi di regole e dunque, per quanto abbiamo detto, non si potrà provare empatia per nessuno. Più o meno.”

 

“Credi sia ancora possibile vivere dei rapporti profondamente sani?

Di cosa dovremmo sbarazzarci soprattutto?”

 

MARCO:“La nostra società è una società profondamente segmentata. Mi viene da dire che per vivere rapporti sani bisogna infilarsi in un segmento di società sano e proteggerlo dagli altri segmenti che stanno lì per insidiarlo. Costruirsi delle proprie nicchie. Ad esempio proteggere la famiglia.

Io trovo così imbarazzante che si parli di Europa unita e globalizzazione e di interreligiosità e allo stesso tempo due individui non riescano a stare insieme per più di sette, dieci anni. Non riusciamo a costruire rapporti durevoli nemmeno col partner e poi ci illudiamo di poter costruire rapporti durevoli con persone del tutto diverse da noi?”

 

“Nel 2011 sei stato incluso, unico autore italiano, nell’Antologia inglese Best European Fiction.

Qual’ è il significato di un tale titolo?

Nei circuiti italiani è più difficile muoversi?”

 

MARCO:“Sarò sempre grato a Elizabeth Harris per avermi tradotto e aver inviato un pezzo del mio romanzo alla casa editrice che ha redatto il libro. Così come sarò sempre grato agli editori che in Italia mi hanno pubblicato i libri e ai soggetti che hanno speso delle parole buone per far sì che arrivassi a una pubblicazione come, per quest’ultimo romanzo, Gordiano Lupi.”

 

“Vorrei da te un consiglio per chi scrive e uno per chi legge,

anche se, ovviamente, uno scrittore si è nutrito e si nutre sempre di molta lettura.”

 

MARCO:“Per chi scrive di non scrivere opere a tavolino. Per quel che può valere la mia esperienza, io ho scritto ‘Il ricordo di Daniel’ perché mi è venuta un’idea e perché volevo parlare di una cosa che mi stava a cuore (di un po’ di cose, come le emissioni in atmosfera, l’inquinamento delle fabbriche e poi, come detto, del concetto d’identità, e anche altro), dunque non ho scritto a tavolino.

Ma poi una volta trovato il Premio Nabokov ho pensato:‘Ecco un premio dove credo che un’opera come la mia potrebbe avere qualche chance’. Non bisogna scrivere a tavolino ma bisogna poi inviare ai giusti tavolini. C’è un posto per ogni cosa, recita il detto.

Per chi legge, di farsi un proprio canone, di non aver paura dei propri gusti.

Io ho cominciato leggendo libri molto importanti, i più importanti, e poi mi ritrovavo a leggere romanzi horror di Richard Laymon o Brian Lumley (dei quali ho grande considerazione, peraltro). Non ho mai capito bene queste oscillazioni.

Io me lo spiego dicendomi che le mie fibre muscolari sono fatte di buona cucina, sì, ma sono fatte in gran parte di tanti panini col prosciutto, la mortadella e la pancetta. Ci vuole un po’ e un po’, è fisiologico.

Ultimamente ho trovato conferma di questa mia piccola spiegazione in una frase che in Festa Mobile Hemingway racconta di aver udito da Gertrude Stein: Leggi libri bellissimi oppure bruttissimi, Hem’.

 

Elena Condemi

 

Motivazioni sull'assegnazione del Premio Nabokov al romanzo "Il ricordo di Daniel" di Marco Candida, Edizioni Anordest:

"Tra realtà e irrealtà in un continuo flusso narrativo

che incessantemente conduce il lettore ad interrogarsi sul proprio presente,

'Il ricordo di Daniel' di Marco Candida si offre come uno dei migliori libri del 2013.


L’autore con questo lavoro dimostra che si può raccontare senza vivere nei generi

e costruire storie di grande carattere con uno stile unico e ben composto. 


Per questi motivi la giuria assegna il primo premio sezione narrativa del Nabokov 2013."